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lunedì 6 agosto 2018




Ti chiamo



Mai le mie mani avranno sensori
Mai!
La bruma mai ostenterà luce come ora io
mai la terra girerà in tondo priva del sole suo

Mi oscureranno parole e pianeti
e l'ombra mia sarà casa.
E'.

Gli orizzonti afoni e incolore
in amalgama d'acido
chimico stridore di mente

e la luce suona
ti parla
e tu non senti
non senti altro che beceri versi
in risposta al tuo sbracciare
in questo mare privo di squali
e natanti.













Fraddie



Birra sul piano
volto scarno
Le corde s'aprono di tastiera e morte
Voce
eredità -addio chiuso nella lampo d'un palco-

Queen

Scolpisce lapide ogni tuo verso
aggrappato a microfono, nota
Corteo funebre fra assi a spettacolo
-il non ridersi minuti di rispetto repleti-

e contano le dita mentre canti il tuo “Salve”
al cambiar parole quando “Mama” menzioni ad oltre
oltre il petto d'amore sporcato
che dettò all'anima cimelio d'uomo













Anni quaranta
(Operai ed industriali biellesi firmarono il "Contratto della montagna")



Madre
i tuoi gomitoli stesi sui vent'anni raccontano maglie
centrini
tende (bianchi, ecru)
Coperte per il freddo di letti
quelli... tanti.
Blu
su mia richiesta
a quadrati azzurri sul mio letto (mia culla, cuccia, tana)

Non ha raccontato nessuno, se non la ricercata storia, d'altro colore
quello a confondersi in colline arse a guerriglie
calde di suoni e colpi d'arma
di cuor di patria e pane per tutti

Tessevano, Madre.
Le donne tessevano e cucivano miserie
e lì
dove il lavoro era pane, seminavano guerra
ove all'urlo d'attacco nemico alzava muri. Di maglia.

“Biella, città della lana”

Madre,
delle donne.







   




Dietro il diluvio



Piccoli e stupidi figli di Abramo
che incideranno alle vostre lapidi?
Come pietra l'arma colpisce vetrine
e la sofferenza ne segue le crepe

Vergini attendono voi mercenari
con dardi
Cupido non accenderà per voi fiamma
se non delle vostre membra e membri

Cosa urlerete quel giorno agli Dei?

Che sanno i bimbi di donne inviolate
di sogni che aizzano lance di guerra?
Sapranno l'inganno d'ormoni stolti
e cervelli che fumano il solo neurone
Dietro il diluvio asce e serpenti















Vello di rosa                                                                      


Non si può lasciarmi così
fissa
su capelli lunghi e bruni
mossi
come il battere dei giorni

Non è tempo d'addormentare oblio
ora che falangi alle mani si fan velo
Nelle curve che furon bionde
rosse
blu
e che nessuno accarezzò

Fui felice ma di un astuto imganno
e non carezzavo palmi (nessuno a me lo fece)
non carezzai capelli (troppo giovane l'amore)
non vidi nè sentii la dolce pelle al tatto
quella che ora dona velluto di rosa











Amore mio



perdona  
se l'ali mie tradirono braccia da te protese
Ci furon fuochi e santi che mi serraron bocca
e nel poi
fuggir di rondini in stagione -ma tu eri gemma, verde chiaro
e alba sovrana in fragore-


Persi tempo e tempi
che il cuore su binari accesi d'un mio “io”
ebbe a tentennarsi anche i tramonti
queli che già dissi
in amaranto


Amore mio, perdonami
di quando aprii a te i miei passi
assurdi
figli d'illuso ardire -piazze vuote
ove a spostarmi il passo era l'ego.mio-


Figlio
perdonami.














a inacidirmi stenti



Marcasti d'altre curve la mia mente
con parole
gesti
gesta
ideologia

Glisso e scivolo su di esse in largo stampo
nell'ardire gocciolio di sole in ombre

Giacesti nel mio letto a contarmi unghie e labbra
ed io con te
contai
esule d'ogni ragione
ignara dell'io e del noi

Giacqui nella risposta giusta
Diedi un Dio ai perchè
perchè un Dio non me li diede
lasciando l'ombra bianca a farmi sella










domenica 5 agosto 2018
















Allo stendersi speme



e se ci arrampicassimo come le mani ai fianchi
dritte di freddo, cadenti di noia
come la molla allo stendersi speme
come ampolla a stillare dolcezza

che ne sarebbe dunque del ritto profilo
monco di labbra
cieco di sguardi
muto di mensole e calici ebbranti


Che sarei
io
senza crema d'immagini amorfe
a dare vita ad un pugno di eguali?









D'oasi muoio



e non mi scompiglia quest'aria di nubi a sera
di vita
scorie d'attimi
speme
brame ed infiniti stenti

Non mi culla di vita
-tondi di giostre all'annichilirsi di ganci appesi innanzi, ovunque-

E fu il cerchio di vite (vita) a rotearmi il solito perché
di luce acceso
poi spento
fugaci alture perse alla vista e
e colline a rammentar l'amore stolto

Ora qui
innanzi a luci d'unghie graffiate
ritrovo i dove ed i perchè
e com'allora perdo voce
tatto
vista...
olfatto d'archi

Ricordo ancora d'essere vita
di vita astratta come i deserti
e d'oasi muoio











                                                                                  
Amleto, fu



Cercò lo specchio Ofelia
per ritrovare amore fra verginità di chioma e dovere
il sussurrare e l'urlo
Le nuvole in bisticcio oscurarono il tango in gemma

-gli amori, solo, hanno l'inizio-
















Di sguardi al lume



Sulle code di labbra tue vorrei svegliarmi
Nei palmi assenti
nelle voglie d'immenso ardire
all'assopirsi di pallidi sguardi al lume

alla voglia di neve che d'inverno sempre appare
sulle fronde verdi del mio viso e
costruendomi una luce
parlo