Carla Aita: dalla piuma alle dita *** ninfa_41@libero.it *** (ogni immagine è reperibile in rete)
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sabato 1 dicembre 2018
A schiarire l'ultimo secchio
nei segmenti paralleli d'una strada in foglie
ancora ti scorgo curva del mio tempo
Di quello che non fu che faccio di zaino in spalla
con accenti brevi -grevi- di passo scalzo e svelto
La tirannia onirica mi preme al suo guardare
e non ho acqua per palpebre caduche e battenti
quasi a schiarire l'ultimo secchio d'acqua
Sorriso verticale
Ah, Cleopatra:
la tua fine, scaduta come mozzarella
scritta su talloni di pelle morta
su scatole natalizie dimenticate in soffitta fra topi
e vomiti d'imperfetto
Farfalle ed ali
canti d'Ottobre
fughe dal marcio care d'esuli pensieri -vespero, Vespro-
Comprati l'amore di licantropi a luna piena nel seghettarti buccia
Sorriso verticale

Assente di carne tesa
ancora bianca senza spine mi giungi neve
I vetri hanno angoli dove lo straccio tarda
ove l'accartocciar di mente imperversa
L'ora batte i tacchi e disincanta gemme
mentre tocco fra i seni
un palpitare che si nega all'oggi
Così le labbra assenti di carne tesa
piovono carezze e baci
Nel rigurgito estivo
Senti come cade l'ozio
Tonfo intermedio d'un giorno
nel rigurgito estivo a raggi e astri
Le stelle cadono
che non v'è cielo a tenerle alte
nello staccarsi come mandorle di panettone andato
Riscrivo finché ho respiro geometrie alla metrica
inumidendo angoli di fogli in braccio al senno
mentre rattoppo nuvole bucate d'astenia

Spenta d'affreschi
Ora si vestono le contrade di maschere bianche
Agli occhi un velo di carezza negata
esalato nel celeste a sovrastare nubi
ad ingelosire amori
ricordi
Spegni di soffio e di fiamma accendi
stenti in mareggiare d'acque
-laghi, monti, riflessi d'alito stantio
di pergolati nudi-
Calchi e cenere le terre
su figli nuovi e
piccole
sudate gocce
a terra danno in pastello il giglio
sabato 10 novembre 2018
Minuendo
La somma dei cateti
l'angolo retto restio d'ipotenusa
il virgola tre periodico dei miei bisogni estremi
Il punto, la parentesi tonda quadra e graffa
e non ci sei
non so dove
con che voce mi chiami
se roca o liscia
Sono panno steso al sole
lenzuolo stordito dal va e vieni
che diventa gabbia
paravento d'estate
ombra di gazzella e unghia di leone
Vorrei una mano dal cielo di padre
Funerali di Stato (14 Agosto 2018)
-eccolo... è lui... un autografo... sììì...-
(battiam battiam le mani
fischiamo ai cattivoni)
-un selfie con me la prego!-
E siamo dei pirloni.
Due punti:
-Oddio... era la mia vicina
che mi porgea al calar del giorno i suoi commiati
ed al mattino avea per me saluti e baci.
Ora son morto e di me spoglie dissacra
ma ancora al dito porta
l'impronta in quello schermo.
Che devo pensar ora di lei?
L'animo mio adunco tace
che non vorrebbe mai sorvolar l'inganno
e nemmen tacere il fio.
Chi sia ella ora non so -né allora-
al tempo in cui non tacque il riso
che al birichino sbirciar da tende
di mantide vidi l'occhio suo scrutare-
Scucirò viole all'erba
-Camera d'aria sgonfia-
Ah, madre, mi languisce l'ora non vederti a ripararla come i giorni
quei di maggio
che si pedalavano i chilometri da qui all'altre case
distanti al centro.
Vivendo fiori, erba, fragole, persone
e le salite a piedi (discese ardite assenti)
e chissà se mi stancavo.
Madre, tu lo ricordi?
Senza ruota scucirò viole all'erba.
Ricordi le nevi
(ad un'amica)
Sono l'Apocalisse dei minuti laccati
fermi alla gogna, restii all'oblio
Sono la gola arsa d'astuzia
verde di menta
staccata al picciuolo
Ricordi le nevi e l'umido autunno?
Amica, ho perso le dita a contarti
a vendermi ragioni
a confluire delta di rigagnoli in vita
Coglierti nell'attimo che tramanda raggio
trovandoti sfumata nei miei cortometraggi
Del vivere nulla intesi mai
Cadi
e butti a culo, al vento i 20
mulinelli
vite su righi di spartito
note in gola
quelle che stringi in scogli di mano e
e che ti rubano l'aria, corde di violino, luci accese
quasi svastica d'un oggi che disconosci
che ne divorzi respiro
Librerie di motti, frasi a tozzi
aridi
la noia di articoli a scalare e notti a crescere
Esserti a cuore
L'amore reciso da tentacoli di luna piena
lanciato al radermi doglie in capelli arruffati
mentre seguo ombra e dita -rito fasullo ancestrale
di un'odalisca in pena-
L'anima appende al gancio la sua trebbia
l'esser sua disgiunta in tino e mosto
nell'attesa fuori luogo e tempo
del rito pagano
a cuore
Le tue vigne
E le tue vigne
braci ed occhi avanti
tu e le spine delle mie croci capovolte
l'impronta d'indice sulla fronte che mi piange i mesi
Non dormo ma veglio l'astro
quello non mappato
fuggito al giro del sole
e le tende
ah, le tende... senza vie su cui sbirciare gli occhi capovolti
Un dipinto a ritrarre un battito
e un suono d'ugola d'infinito coniugato.
Nei limbici volumi
Trovami nell'arpeggio d'un sole a tratti
in recondite memorie fitte di luce
scevre di ponti.
Lascia che esondi l'anima su delizie incolte
che traviano
deviano
sfamano
iniziano
Frugami nella giacca a trielina appesa
nei limbici volumi d'arcaico sapere
dove la fine del giorno chiama
per nome anche le ciglia tinte.
La Bestia (il numero)
Sono l'ombra piegata del girasole
l'ignoto buio che circonda la mia aura
che slitta
sobbalza sulle vicissitudini dei miei balzi bipolari
di redini in mano a sabbia.
Ah, sempre ti esclamo o padrone delle miserie
male del mio male
membro flaccido dei miei costumi
feccia della feccia
ma non hai mani
voce
tono
volto
solo tre numeri
e sei cane.
giovedì 8 novembre 2018
L'arcano ego
io.
contaminata d'ego.
sono.
Nell'immenso dei miei punti virtuali
nella seconda porta a destra delle virgole
fra punti sospesi -tre- a farmi ponte in calce
in calce a nembi montati a neve nel morir di grani
Illuminata in tempo d'avi a mietere croci
ritte innanzi al blasfemo vivere degli scudi a croce io
le mie ignoranze ora virtù
ad esorcizzarmi lingua, senno e tempie.
l'arcano ego.
lunedì 6 agosto 2018
Ti chiamo
Mai le mie mani avranno sensori
Mai!
La bruma mai ostenterà luce come ora io
mai la terra girerà in tondo priva del sole suo
Mi oscureranno parole e pianeti
e l'ombra mia sarà casa.
E'.
Gli orizzonti afoni e incolore
in amalgama d'acido
chimico stridore di mente
e la luce suona
ti parla
e tu non senti
non senti altro che beceri versi
in risposta al tuo sbracciare
in questo mare privo di squali
e natanti.
e natanti.
Fraddie
Birra sul piano
volto scarno
Le corde s'aprono di tastiera e morte
Voce
eredità -addio chiuso nella lampo d'un
palco-
Queen
Scolpisce lapide ogni tuo verso
aggrappato a microfono, nota
Corteo funebre fra assi a spettacolo
-il non ridersi minuti di rispetto
repleti-
e contano le dita mentre canti il tuo
“Salve”
al cambiar parole quando “Mama”
menzioni ad oltre
oltre il petto d'amore sporcato
che dettò all'anima cimelio d'uomo
Anni quaranta
(Operai
ed industriali biellesi firmarono il "Contratto della montagna")
Madre
i tuoi gomitoli stesi sui vent'anni raccontano maglie
centrini
tende (bianchi, ecru)
Coperte per il freddo di letti
quelli... tanti.
Blu
su mia richiesta
a quadrati azzurri sul mio letto (mia culla, cuccia, tana)
Non ha raccontato nessuno, se non la ricercata storia, d'altro colore
quello a confondersi in colline arse a guerriglie
calde di suoni e colpi d'arma
di cuor di patria e pane per tutti
Tessevano, Madre.
Le donne tessevano e cucivano miserie
e lì
dove il lavoro era pane, seminavano guerra
ove all'urlo d'attacco nemico alzava muri. Di maglia.
“Biella, città della lana”
Madre,
delle donne.
delle donne.
Dietro il diluvio
Piccoli e stupidi figli di Abramo
che incideranno alle vostre lapidi?
Come pietra l'arma colpisce vetrine
e la sofferenza ne segue le crepe
Vergini attendono voi mercenari
con dardi
Cupido non accenderà per voi fiamma
se non delle vostre membra e membri
Cosa urlerete quel giorno agli Dei?
Che sanno i bimbi di donne inviolate
di sogni che aizzano lance di guerra?
Sapranno l'inganno d'ormoni stolti
e cervelli che fumano il solo neurone
Dietro il diluvio asce e serpentiVello di rosa
Non si può lasciarmi così
fissa
su capelli lunghi e bruni
mossi
come il battere dei giorni
Non è tempo d'addormentare oblio
ora che falangi alle mani si fan velo
Nelle curve che furon bionde
rosse
blu
e che nessuno accarezzò
Fui felice ma di un astuto imganno
e non carezzavo palmi (nessuno a me lo fece)
non carezzai capelli (troppo giovane l'amore)
non vidi nè sentii la dolce pelle al tatto
quella che ora dona velluto di rosa
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